Mercoledì 13 Settembre, l’Europarlamento, con 382 sì, 219 no e 117 astenuti, ha riconfermato José Manuel Durão Barroso Presidente della Commisione europea. Ha superato la maggioranza assoluta di 369 voti richiesta dal Trattato di Lisbona, anche se ad oggi, secondo l’attuale Trattato di Nizza, il presidente della Commissione europea può essere eletto con la maggioranza semplice dei votanti.
Nei corridoi di Bruxelles è soprannominato “il camaleonte”.
Passato attraverso l’esperienza della giovinezza maoista, prima di convertirsi al liberalismo, José Manuel Barroso ha sempre saputo adattarsi alla situazione per continuare la sua brillante carriera. Ma le ricette politiche del vecchio capo del governo portoghese hanno il gusto della minestra riscaldata per i 736 deputati del Parlamento europeo che ne hanno deciso la rielezione alla testa della Commissione europea.
Unico candidato alla propria successione, è riuscito ad imporsi senza sorpresa né entusiasmo. Il suo operato nella precedente legislatura è stato ampliamente criticato: «Barroso ha passato gli ultimi cinque anni a fare di tutto per essere rieletto», nota Fabio Liberti, ricercatore all’Institut de Relations Internationales et Stratégiques (Iris).
Un politico pragmatico, questo è certo. José Manuel Barroso, 53 anni, è uomo raffinato, poliglotta, di grande eloquenza, qualità che ha saputo mettere a profitto presso tutti i governi europei ai tempi della “campagna elettorale” per l’ambita poltrona di Presidente della Commissione. Una strategia che ha portato i suoi frutti, dato che tutti gli stati hanno assicurato ben presto il loro sostegno. «I governi preferiscono scegliere un presidente della Commissione di comune accordo, con un ruolo affidabile, che non ostacoli troppo le loro decisioni», analizza Fabio Liberti.
Un secondo mandato dell’ex premier portoghese è una garanzia di stabilità valutata da tutti gli stati membri, soprattutto nella prospettiva del nuovo referendum sul Trattato di Lisbona indetto per ottobre in Irlanda. Ma questa attitudine alla garanzia è stata spesso associata ad una eccessiva subordinazione ai governi. «Barroso è il più piccolo denominatore comune» che «seduce perché non disturba» denunciano gli eurodeputati Daniel Cohn-Bendit (Europe-Ecologie; Germania-Francia) e Silvie Goulard (Modem-Francia) in un articolo di fondo pubblicato su Le Monde il giorno della sua elezione. Se consideriamo il bilancio del suo lavoro alla testa della Commissione, concretamente, «nulla è stato fatto», dichiara Fabio Liberti. L’inazione dell’Europa di fronte alla crisi economica ne è l’esempio più lampante.
Un buon numero di ecologisti, socialisti, e persino dei liberali, hanno tentato invano di respingere questa elezione, ma non sono riusciti a mettersi d’accordo per proporre un avversario credibile di fronte ad un candidato sostenuto dal centrodestra, uscito vittorioso dalle elezioni europee di giugno.
Un voto senza sorprese dunque. Per calmare i suoi avversari, il presidente della Commissione europea ha loro proposto un nuovo programma: promette un’Europa più democratica, più determinata a lottare contro il riscaldamento climatico e le nuove frontiere globali. «Mi impegno a combattere il dumping sociale» ha aggiunto il giorno prima delle sua elezione davanti al parlamento.
Un personaggio comodo a tutti, insomma. Un politico senza particolari carismi né visioni precise su cosa può e deve essere l’Europa del futuro. È triste constatare che il nostro continente sta perdendo tempo e occasioni per riformarsi seriamente e riuscire ad agire concretamente nel nuovo mondo globale (N.d.r).
Fonte: Direct-Matin Plus (traduzione dal francese della redazione di medeaonline) – wikinotizie
Approfondimenti: Jose Manuel Barroso, le cameleon, Le Monde del 13/06/2009 (in francese)