Vi proponiamo l’analisi della situazione che conseguerebbe l’approvazione della Legge Gelmini fatta da Famiglia Cristiana: una lista di tutti i tagli, i disagi, i rischi sociali che ne deriverebbero.
“A rischio i plessi scolastici con meno di 50 alunni. I tagli penalizzerebbero i piccoli Comuni che già soffrono per la mancanza di servizi. In rivolta sindaci, docenti e famiglie.
La campanella potrebbe non suonare più in 824 scuole di 4.000 piccoli Comuni sparpagliati dalle Alpi alle Madonie. Un taglio all’istruzione che sta scatenando la vivace protesta di sindaci, docenti e famiglie, con le Regioni che minacciano il ricorso alla Corte costituzionale. L’inghippo sta tutto nell’articolo 3 del Decreto legge 154 sulla sanità e finanza locale che obbliga Regioni ed enti locali ad attuare i “piani di ridimensionamento” delle istituzioni scolastiche. Detto in parole povere, il provvedimento obbliga a fondere i plessi scolastici con meno di 50 alunni, sebbene prioritariamente nei territori non montani. Amministratori locali, genitori e insegnanti temono invece che a farne le spese saranno proprio le scuole dei piccoli centri.
Un allarme che, secondo il Governo, sarebbe ingiustificato. Tanto che Silvio Berlusconi ha distribuito «un dossier sulla riforma varata dal Governo contro le bugie della Sinistra. Con l’introduzione del maestro unico e l’eliminazione delle compresenze si libereranno più maestri e in cinque anni ci saranno 5.750 classi in più con il tempo pieno», assicura. «Con la media di 21 alunni per classe, in 5 anni 82.950 alunni in più usufruiranno del tempo pieno. La Sinistra», prosegue, «dice che gli alunni saranno 30 per classe. È assolutamente falso. Saranno in media 18 e potranno arrivare al massimo a 26 per classe. Non è vero che verranno licenziati 87 mila insegnanti. È vero, invece, che in Italia c’è un docente ogni 9 alunni, in Europa 1 ogni 13», sottolinea. «Ci saranno meno insegnanti, ma meglio pagati. Non è vero che chiuderanno le scuole di montagna. Nessuna scuola sarà chiusa».
A rassicurare ulteriormente i piccoli Comuni che hanno manifestato ad Asiago il 24 ottobre, interviene il senatore Michelino Davico, sottosegretario agli Interni con delega alla Direzione centrale per le autonomie locali. «In Italia abbiamo più bidelli che carabinieri, occorre mettere ordine, perché il sistema non regge più, ma non è vero che le scuole dei piccoli Comuni chiuderanno», precisa il senatore. Ma come la mettiamo con la minaccia del commissariamento delle Regioni che non attuano il piano? «Il problema è che non possiamo permetterci di vivere come se fossimo nel Paese del Bengodi. Si tratta di aprire un confronto con gli enti locali, ma non possiamo discutere per anni senza arrivare a un risultato», spiega il senatore.
Intanto la paura dei tagli serpeggia un po’ ovunque. Siamo a Valle Talloria, frazione di Diano d’Alba (Cuneo). Un piccolo centro di un migliaio di abitanti adagiato in una valle tra i pregiati vigneti delle Langhe-Barolo. La scuola materna e la chiesa si scrutano e nello stesso tempo rassicurano i rari passanti di un borgo ordinato e poco abitato. «Se dovessero toccare la nostra scuola scoppierà la rivoluzione, partiremo con i pullman e caleremo su Roma», assicura Giovanna Zanirato, una delle maestre dei 28 bambini, tra cui qualche immigrato, che hanno la fortuna di uscire di casa, attraversare una strada ed essere in classe, senza dover usare l’auto o lo scuolabus. «È talmente stretto il legame con il territorio che i nonni sono spesso chiamati a fare delle attività con i bambini, come la cura di un vero orto didattico», spiega Donato Bosca, dirigente scolastico di Diano d’Alba. Il provvedimento del ministro Gelmini mette a rischio 8 dei 13 plessi dell’Istituto comprensivo di Diano che accoglie ogni giorno 633 alunni (137 nella scuola dell’infanzia, 375 nella scuola primaria e 121 nella secondaria di primo grado).
«Se dovessero chiudere 8 plessi su 13 dove andrebbero a scuola questi ragazzi? In quali aule? Che costi avrebbe lo spostamento di un così elevato numero di ragazzi in sedi già sovraffollate? E quali ripercussioni organizzative, logistiche e psicologiche avrebbe questo cambiamento»? Si chiede Bosca. Da Valle Talloria a Sinio, piccolo Comune di appena 512 abitanti. La strada corre tra i noccioleti e le colline con i filari ben pettinati. A Sinio, come in molti piccoli centri delle Langhe, non ci sono più negozi e il bar è un ricordo lontano. Anche il parroco non c’è più da un pezzo e per animare le lunghe serate invernali, il Comune ha aperto un circolo dove si gioca a carte e si può bere qualcosa. L’ufficio postale stava per chiudere, ma dopo le vivaci proteste della gente è rimasto aperto seppure con un orario ridotto. Una sorte analoga è toccata alla farmacia che funziona nei locali messi a disposizione nella canonica e solo negli orari coincidenti con quelli delle visite del medico. Qui, la scuola è uno degli ultimi baluardi da difendere. Un piccolo edificio con il tetto di coppi e due pluriclassi per un totale di 20 bambini, tra cui due di origine macedone.
«I genitori temono di dover mandare i propri figli ad Alba», dice una delle maestre, «ma questi bambini qui stanno benissimo e imparano meglio dei loro compagni delle classi normali». La sede è di proprietà del Comune. Tutto è ben tenuto, pitturato di fresco. Un’oasi tranquilla, che rischia di subire un brutto contraccolpo se davvero l’unica scuola dovesse chiudere i battenti.
«Abbiamo fatto i salti mortali per tenere aperto un negozietto che ha un po’ di tutto», spiega il sindaco Pier Marco Amedeo. «Negli ultimi decenni, la popolazione si è dimezzata, ma ora c’è un lento recupero anche grazie agli immigrati che lavorano nei vigneti. Abbiamo creato un circolo virtuoso che ci ha permesso di tenere vivo il paese», dice il sindaco. A chi gli fa notare che tenere aperta una scuola con 20 alunni può essere uno spreco risponde: «Sembra di risparmiare tagliando, ma non si tiene conto del costo sociale che comporta trasformare un piccolo centro in una sorta di casa di riposo, con gli anziani soli, senza figli e nipoti. Senza scuola, il cuore di Sinio si fermerebbe e molti andrebbero a vivere altrove, dove ci sono i servizi essenziali».Fonte: Per chi suona la Campanella di Giuseppe Altamore – sito di Famiglia Cristiana