Ci risiamo. Il Pd deve fari i conti col proprio passato e con l’abitudine della sinistra italiana post Pci alla rissosità insensata e inutile. Ogni occasione è buona per esponenti politici di poca o scarsa rilevanza per tentare di tirare un po’ di acqua al proprio mulino.
Questo fa bene al Partito Democratico? Sì, più o meno quanto un buon digestivo al cianuro.
E così gli elettori di quello che – comunque la si veda – resta il primo partito d’opposizione in Italia, sono costretti ad assistere alle uscite improbabili di personalità del calibro di Parisi che critica apertamente l’esperienza del governo ombra. La considera conclusa. Alternative proposte? Aggregare più forze politiche possibili per colmare il divario con l’ammiraglia di Berlusconi. Un’idea sicuramente innovativa – tredici anni fa – che, se non ricordiamo male, si chiamava semplicemente Ulivo.
Veltroni è rassicurato da molti suoi compagni di partito: la sua leadership non è (teoricamente) in discussione. Perlomeno non alla luce del sole; ma dietro le quinte pare ci sia un gran fermento.
D’Alema e Rutelli si schierano in difesa di Veltroni. Qualcuno osserva che Parisi non è mai stato tanto critico verso il governo Berlusconi, quanto lo è verso il Pd. Qualcuno nomina l’innominabile Prodi rimosso dall’immaginare collettivo dell’opposizione come un brutto incubo da cui conviene risvegliarsi in fretta.
Ma dove è finita la spinta riformatrice del Pd che ha conquistato il 34 percento degli elettori? Dove sono quegli ideali concreti e pragmatici che hanno convinto la gente a votare Veltroni?
Degli intrighi di palazzo agli elettori del centrosinistra importa molto poco e senza elettori un partito non esiste: questo lo sanno gli indiani che assaltano la diligenza?