Nei giorni scorsi la notizia della delibera di Agcom per la tutela dei diritti d’autore in Internet è rimbalzata un po’ ovunque. Il provvedimento, che entrerà in vigore il 6 di luglio, è stato sviscerato e analizzato fin nei minimi particolari, soprattutto in quelle parti che, secondo molti, metterebbero a repentaglio la libertà di informazione in Internet in favore del diritto d’autore. Uno scontro tra diritti, dunque? Forse. Ma non è sfuggito a nessuno l’importante contributo dato dalla Rete ai recenti risultati elettorali sfavorevoli alla maggioranza di Governo e così sono fioccate le ipotesi complottiste.
La delibera di Agcom sarebbe quindi una vendetta del Governo contro Internet? Difficile dirlo, di sicuro appare evidente che la delibera, nella sua attuale forma, è costosa, iniqua e, molto probabilmente, inefficace. Agcom si rivolgerebbe direttamente ai gestori dei servizi Internet (i provider), per censurare e oscurare i siti colpevoli di aver violato i diritti d’autore e il provvedimento scatterebbe dopo una decisione arbitraria presa dall’Agenzia senza aver dato all’interessato la possibilità di difendersi in alcun modo.
Internet in Italia è una realtà ancora arretrata e poco diffusa, la Rete soffre di moltissimi problemi tecnici (tra la cui la scarsa diffusione della banda larga) e innumerevoli problemi etici legati a un cattivo utilizzo delle risorse che fornisce. In questi anni molti hanno scambiato Internet per la terra di nessuno dove non ci sono direttive e dove tutto è lecito. Da più parti si era detto che gli utenti avrebbero dovuto dotarsi autonomamente di proprie regole di comportamento e di strumenti per farle rispettare. La libertà, come cantava Gaber, è partecipazione e, ci permettiamo di aggiungere, responsabilità. Ma la violazione dei diritti d’autore in Internet è il pericolo principale? L’alternativa all’autoregolamentazione era che le regole piovessero dall’alto senza alcuna consultazione, senza alcuna possibilità di confronto. E l’alternativa, tra pochi giorni, sarà realtà.
Ma Internet è una risorsa fondamentale e strategica per lo sviluppo economico e sociale del Paese. Non solo per l’Italia, ma per tutte le Nazioni occidentali e infatti il dibattito su come dovrebbe diventare la Rete e su quali siano le libertà che dovrebbe garantire è molto sentito un po’ ovunque: da Parigi a Londra, da Berlino a Washington. In Italia no. Internet è considerato una specie di giocattolo per adulti mai cresciuti e poco più. Sì, le aziende usano la Rete ma non la sfruttano come dovrebbero e quindi non ne capiscono le reali potenzialità. Questo significa arretratezza. Questo significa condannarsi a restare un passo indietro. L’Espresso ha proposto un decalogo molto interessante dei diritti degli internauti che vale la pena di analizzare punto per punto, ve lo riproponiamo integralmente.
1 Internet come diritto della persona. L’accesso alla Rete dev’essere inteso e sancito come un diritto dei cittadini pari alla scolarizzazione. In alcuni paesi europei (come Estonia e Finlandia) questo diritto è già stato stabilito attraverso leggi dello Stato. Garantire a ogni persona la possibilità di accedere alla Rete equivale a quello che negli anni Cinquanta e Sessanta era il diritto all’istruzione, perché la Rete è oggi uno strumento di emancipazione culturale e sociale come la scolarizzazione.
2 Banda larga per tutti. L’Italia è l’unico paese del G7 a non avere un piano pubblico per la banda larga. Siamo in fondo a tutte le classifiche europee per quantità e qualità della banda larga. Gli investimenti promessi dal 2008 (800 milioni di euro) sono stati spesi per varie emergenze (come l’influenza suina). Finora la politica ha lasciato che le telco decidessero da sole se e dove investire in banda larga: l’arbitrio dei fornitori tuttavia esclude dal cablaggio vaste aree del Paese dove le compagnie hanno minori ritorni economici. Serve invece una diffusione capillare della Rete ad alta velocità che non penalizzi chi abita fuori dai grandi centri urbani, come del resto avviene in Nord Europa.
3 Diffusione del WiMax. L’Italia è ancora ferma a decidere se e quanto liberalizzare la Rete senza fili iper-locale nei bar, mentre il resto del mondo procede verso la connessione via radio di vaste aree di territorio tramite il WiMax. Di fatto, il WiMax in Italia è bloccato da diversi fattori tra cui l’assenza di investimenti pubblici e l’opposizione lobbystica delle compagnie telefoniche, che incassano molto di più facendo navigare gli italiani attraverso la rete 3G, lenta e costosa.
4 Neutralità della Rete. Negli Stati Uniti e in Europa è uno dei temi politici più discussi, in Italia esiste solo una proposta di legge (Vita-Vimercati, del Pd) finita rapidamente nei cassetti del Senato. La net-neutrality è il principio in base al quale tutti i dati in Internet devono viaggiare con la stessa velocità e qualità: quindi i fornitori di connessioni on line (cioè le compagnie telefoniche che possiedono i “tubi” attraverso cui passano i dati) sono tenuti a rispettare questa neutralità. E’ una battaglia insomma per le “pari opportunità” digitali. Un problema mondiale, ma ancora più caldo in Italia dove il propietario di un’azienda che produce enormi quantità di contenuti immessi on line – Mediaset – è anche presidente del Consiglio: e quindi può avere un ascendente piuttosto forte sulle telco che “possiedono i tubi”.
5 Stato aperto e digitale. Anche i rapporti tra cittadino e istituzioni – a ogni livello, dal governo centrale allo sportello comunale – sono al centro di una grande rivoluzione che viene chiamata solitamente e-government. Questa è basata su due cardini: la trasparenza – tutte le decisioni politiche, le leggi, le ordinanze devono essere rese pubbliche e commentabili on line – e la digitalizzazione dei servizi (ad esempio, ottenere certificati o pagare le rette dell’asilo on line). Se si pensa che in Italia le tasse comunali si possono versare via Internet solo in sei comuni su oltre 8 mila, si intuisce che c’è ancora parecchia strada da fare.
6 Diritto alla non identificazione dell’internauta da parte di altri utenti. Impropriamente fatto passare come “anonimato on line”, il diritto a non essere identificati dagli altri utenti (ma soltanto dalla polizia postale su mandato dell’autorità giudiziaria) è lo strumento principale attraverso il quale la Rete consente di far emergere una quantità enorme di notizie che possono costituire un patrimonio collettivo. Ad esempio, quelle di un lavoratore che denuncia on line il mancato rispetto delle norme di sicurezza nella sua azienda ma non vuole subire ritorsioni dalla stessa. Non si tratta di difendere l’anonimato on line, perché viene appunto garantito l’ovvio diritto della polizia postale, su richiesta di un magistrato, di identificare e perseguire chi eventualmente commette reati sul Web (dalla diffamazione alle truffe, fino alla pedofilia).
7 Liberalizzazione dei video in Rete. L’ultima trovata italiana è stata quella di inventarsi pesanti tasse per chi immette in Rete contenuti audiovideo. Una scelta fortemente disincentivante per migliaia di internauti che caricano sul proprio sito o blog quello che riprendono con una videocamera o con un telefonino (oggi esistono vari servizi che permettono anche di trasmettere in diretta sul Web, direttamente dal proprio cellulare). Fortemente voluta dal ministro Paolo Romani, questa restrizione ha l’effetto di avvantaggiare chi già produce su larga scala “snack tv” (come Mediaset) rispetto alla nascente concorrenza in crowdsourcing.
8 Flessibilizzazione del copyright. Una più libera e liquida circolazione dei contenuti in Internet può essere uno strumento di crescita culturale ed economica di tutta la società. Incatenato da anni sulla contrapposizione frontale tra difensori del copyright totale e del copyleft totale, il dibattito non è riuscito finora a fare alcun passo verso una diversificazione e flessibilizzazione dei diritti d’autore sul modello Creative Commons: “Alcuni diritti riservati”, non tutti, e per periodi di tempo variabili.
9 Libero blog in libero Stato. Ogni tre mesi, in media, c’è una nuova proposta di legge per imporre una “registrazione” dei blog presso qualche autorità (tribunali o questure), mentre i magistrati impazziscono nel tentativo di applicare a una realtà come i blog norme pensate sessant’anni fa per la carta stampata. Servono invece regole che concretizzino il principio della responsabilità individuale di chi immette contenuti in una realtà editoriale nuova, spesso non continuativa e non professionale.
10 Una carta dei diritti dei cittadini digitali. Oggi Apple decide arbitrariamente quali applicazioni far passare e quali no. Facebook decide arbitrariamente a quali persone, gruppi o aziende cancellare l’account. YouTube decide arbitrariamente quali video censurare. Servono regole certe, condivise e trasparenti per difendere i diritti dei “netizen”, i cittadini digitali: altrimenti si va verso un mondo in cui l’informazione è selezionata e filtrata dalle corporation sulla base di insindacabili e oscure “policy” aziendali.
Su molti punti di questo decalogo avremmo diverse obiezioni da sollevare e crediamo sia importante discuterne assieme. La questione che vorremo sollevare riguarda però anche i doveri degli internauti, quegli impegni di comportamento che noi tutti fruitori della Rete dovremmo prendere e rispettare. Voi che state leggendo queste righe cosa ne pensate? La vostra opinione è importante, condividetela con noi.
Per due giorni Medeaonline si fermerà per manifestare la sua protesta contro la delibera dell’Agcom: siamo convinti che servano regole per migliorare Internet, ma non queste regole. Abbiamo aderito alla campagna di raccolta firme che potete trovare qui: http://www.avaaz.org/en/it_internet_bavaglio/?copy
Noi crediamo nella capacità degli italiani di prendersi delle responsabilità morali ed etiche anche in Internet e siamo convinti che questa possa essere l’occasione buona per crescere tutti insieme. Fateci sentire la vostra voce, commentate questo post.